Presentati al Congresso dell’International Society on Thrombosis and Haemostasis i primi risultati del registro Garfield su diecimila pazienti (anche italiani) colpiti da embolia polmonare o trombosi venosa profonda alle gambe.

Uccide una persona ogni 37 secondi ed è la terza malattia cardiovascolare più comune dopo la sindrome coronarica acuta e l’ictus. E’ il tromboembolismo venoso, cioè la formazione di coaguli di sangue nelle vene e la conseguente embolia polmonare o la trombosi degli arti inferiori.  Se ne parla al Congresso dell’International Society on Thrombosis and Haemostasis (Isth) in corso a Berlino fino al 13 luglio. Proprio oggi sono stati presentati i dati del registro Garfield sul tromboembolismo venoso che ha coinvolto 10mila pazienti di 28 paesi.

La malattia. Il tromboembolismo venoso in Europa fa registrare un tasso di mortalità che è più del doppio rispetto a quello per Aids, cancro al seno, cancro alla prostata e incidenti stradali. Causa 780mila morti in Europa e negli Usa ogni anno. In Italia si verificano ogni anno 150-200 nuovi eventi per 100mila abitanti  e 70-100 ricoveri per embolia polmonare. Inoltre, circa il 15-20% dei casi riguarda pazienti con tumore: “Il legame si spiega prendendo in considerazione diversi aspetti – spiega a Repubblica.it  il professor Walter Ageno, professore associato di medicina interna dell’Università dell’Insubria. “In primo luogo, le cellule tumorali producono sostanze che favoriscono la trombosi. Inoltre, i pazienti oncologici vengono spesso sottoposti a procedure invasive come interventi chirurgici e ricevono chemioterapici che a volte possono favorire la trombosi”.

Chi ne è colpito. Ad essere colpiti dal tromboembolismo venoso sono soprattutto i pazienti ricoverati in ospedale, che hanno subito interventi chirurigci, ma anche le donne che assumono contraccettivi orali. Inoltre, può anche essere una complicanza della gravidanza e ci può essere una predisposizione genetica.

Il Registro. Il Garfiled sul tromboembolismo venoso è un registro multicentrico che ha coinvolto 10.874 adulti in 28 Paesi di cinque continenti seguiti per un minimo di 36 mesi dopo la diagnosi. Lo studio è iniziato nel 2014 e si concluderà nel 2020. “Questo registro – spiega Ageno – ha l’obiettivo di raccogliere informazioni nel mondo reale dei pazienti con tromboembolismo venoso e sul modo in cui sta cambiando la loro gestione”. Infatti, negli ultimi anni le possibilità terapeutiche per il tromboembolismo venoso sono aumentate e gli specialisti vogliono capire come queste innovazioni si stanno ripercuotendo sulla vita dei pazienti.  “Grazie alle nuove scoperte scientifiche – prosegue Ageno – oggi possiamo scegliere tra farmaci diversi sia per principi attivi che per modalità di somministrazione e senza dover sottoporre i pazienti a dei monitoraggi. Tutto questo si traduce in una riduzione sia del numero di ricoveri che della loro durata”.

I primi risultati. A Berlino sono stati presentati i primi dati perchè si è appena concluso l’arruolamento di diecimila pazienti con embolia polmonare (la forma più grave) o trombosi profonda degli arti inferiori (che è la forma più diffusa) di cui circa 700 sono italiani. Da una prima analisi emerge che la metà dei pazienti prende ancora gli anti-coagulanti di vecchia generazione ma un’altra metà viene curata con i nuovi farmaci anticoagulanti orali diretti in compresse senza più necessità di iniezioni, cosa che facilita di molto la vita. “Seguiremo questi pazienti per i prossimi tre anni – conclude Ageno – per capire come si evolve la loro terapia e come il passaggio ai nuovi farmaci potrà avere un impatto positivo sia sulla loro qualità di vita sia a livello di spesa sanitaria.

Fonte: http://www.repubblica.it/salute/ricerca/2017/07/10/news/tromboembolismo_venoso_un_coagulo_che_uccide_una_persona_ogni_37_secondi-170452490/