Almeno il 20-30 per cento delle persone che ha avuto un infarto va incontro, nel giro di due anni, a un secondo episodio. E lo stesso vale per chi ha avuto un attacco ischemico transitorio al cervello (Tia) o un piccolo ictus. La probabilità che manifesti una recidiva negli anni successivi sarebbe del 5-6 per cento, secondo un recente studio pubblicato sulla rivista New EnglandJournal of Medicine, ma secondo altre fonti arriverebbe anche al 12-20 per cento. Se le statistiche non sempre sono concordi sulle percentuali, rimane però il fatto che il pericolo esiste ed è alto. È chiaro, poi, che quando si ha un secondo infarto o un secondo ictus, la situazione ha più probabilità di complicarsi, perché cuore e cervello sono già danneggiati. Ecco allora la domanda: è possibile (e come?) impedire che queste persone vadano incontro a una recidiva? La risposta è sì. Con la prevenzione secondaria.

Il nuovo farmaco

Da un lato con una lotta serrata a tutti quei fattori di rischio che dipendono da abitudini di vita errate (dieta sbagliata, fumo di sigaretta, mancanza di attività fisica) e dall’altro con il controllo di una serie di condizioni che predispongono alle malattie cardiovascolari: ipertensione e diabete, per esempio, ma soprattutto colesterolo in eccesso del tipo “cattivo”, cioè quello Ldl, oggi considerato il colpevole numero uno. E, a quest’ultimo proposito, ecco allora la notizia, definita epocale, sia dagli esperti riuniti a Washington per l’annuale congresso dell’American College of Cardiology, sia dalla rivista New England Journal of Medicine che, in contemporanea, ha pubblicato la ricerca : un nuovo farmaco, l’evolocumab, sarebbe in grado di ridurre infarti e ictus nelle persone che hanno già avuto un primo episodio. «È il primo studio che dimostra come l’evolocumab non solo sia capace di ridurre il colesterolo Ldl nel sangue, — dice Alberto Zambon, professore di Medicina Interna all’Università di Padova — cioè di agire su un parametro di laboratorio (il colesterolo Ldl, appunto), ma anche di incidere sulla pratica clinica, riducendo i casi di malattia».

Lo studio

Lo studio «Fourier» ha coinvolto 27 mila persone in tutto il mondo, già trattate in modo ottimale con le statine anti-colesterolo (usate da almeno vent’anni e diventate farmaci generici), ma senza arrivare a livelli adeguati di Ldl nel sangue. L’aggiunta dell’evolocumab ha, invece, ridotto il colesterolo sotto i 70 mg/dl, cioè il limite richiesto per le persone ad altissimo rischio cardiovascolare (in alcuni casi i livelli di colesterolo sono scesi addirittura a 30 mg/dl). E, sul piano clinico ha ridotto del 20 per cento la comparsa di nuovi eventi e del 19 per cento la mortalità globale. «Più basso è il colesterolo Ldl, meglio è — commenta Pasquale Perrone-Filardi, direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie cardiovascolari dell’Università Federico II di Napoli e Presidente FinSic della Società Italiana di Cardiologia — e l’entità del beneficio è indipendente dai livelli iniziali di colesterolo Ldl. Vale, infatti, la regola del 20 per cento: per ogni 40 mg/dl di colesterolo Ldl nel sangue in meno, si riduce il pericolo di andare incontro a infarti e ictus del 20 per cento».

Per l’ictus importanti anche gli anticoagulanti

E qui occorre aprire una parentesi sull’ictus: quest’ultimo, a differenza dell’infarto, (legato principalmente al deposito di colesterolo nelle coronarie che così si ostruiscono) ha infatti anche altre cause, per esempio, la fibrillazione atriale che produce emboli, coaguli di sangue che vanno a bloccare le arterie cerebrali. In questo caso, oltre alla somministrazione di anti-colesterolo, si deve ricorrere anche agli anticoagulanti . L’evolocumab è un anticorpo monoclonale capace di aggredire una proteina chiamata Pcsk9 che impedisce la distruzione delle Ldl da parte del fegato. Viene somministrato per via sottocutanea ogni 15 giorni o una volta al mese. «La terapia con evolocumab — ribadisce Furio Colivicchi direttore dell’Unità di Cardiologia all’Ospedale San Filippo Neri di Roma — migliora il destino clinico di pazienti che, nonostante le statine, non raggiungono livelli di colesterolo adeguati. Ma ci sono molti malati a rischio che le statine nemmeno le assumono o interrompono la cura». Ecco il problema: ben vengano i nuovi farmaci anti-colesterolo, ma è indispensabile che i pazienti siano trattati in prima linea con le statine (anche perché i nuovi farmaci anticolesterolo sono costosi: attorno ai 5 mila euro per un anno di terapia che deve durare a vita). «Chi interrompe le statine in prevenzione secondaria — continua Colivicchi — muore tre volte di più. Questi farmaci non godono di buona stampa e sono gravati da un effetto nocebo (il contrario di placebo ndr). In altre parole, chi le assume si aspetta effetti collaterali negativi che non è detto esistano». Esiste, però, un 20-30 per cento di pazienti che sono davvero intolleranti e in questi casi sono indicati i nuovi anti-colesterolo. L’evolocumab è già registrato in Italia ed è rimborsabile dal Sistema sanitario nazionale, con un altro della stessa classe (l’alirocumab), appunto per il trattamento delle ipercolesterolemie Ldl.

Fonte:  http://www.corriere.it/salute/cardiologia/17_marzo_31/abbassare-colesterolo-evita-nuovi-episodi-infarto-ictus-ischemia-ecb727ae-15fa-11e7-b176-94ba31b8546a.shtml